Il Castello

Gallinarium, 1930-36 (Foto Vàclav Šedy).

Dioli comincia la costruzione della sua residenza al Sasso Gianaccio nel 1926, anno di acquisizione del terreno e di edificazione della torre di nord-est a pianta quadrata e con muratura in pietra. Purtroppo Dioli non riuscì a completare l’ampliamento della torre, che rimase l’unico corpo edilizio dell’intero progetto, a causa del tracollo finanziario di una banca presso cui aveva depositato i risparmi di una vita, intorno al 1930. Nella torre vi erano tre locali sovrapposti, due soli dei quali abitabili. Erminio abitava al piano terreno e nel locale sovrastante aveva lo studio con le varie attrezzature. Le opere più significative del Castello sono gli otto graffiti allegorici, due su ogni parete della saletta al primo piano e realizzati nel 1951: l’artista si rappresenta come figura angelica che tiene in mano gli strumenti di lavoro ed ammansisce draghi mostruosi che gli stanno di fronte. Egli si ritrae come botanico e come architetto, scultore ed artigiano, decoratore e pittore, artista del graffito e muratore o costruttore. Dall’altra parte il drago è simbolo dell’energia creativa e del vitale e potente movimento caotico, il drago è un essere ibrido che rappresenta la forza vitale e distruttiva della natura, una figura eclettica che raccoglie in sé la potenza dell’universo, gettandola sulla terra in modo informe. Il drago sarebbe quindi la raffigurazione di un’energia primordiale che vede unite spirito e materia e che l’angelo, attraverso il lavoro creativo, progettuale e costruttivo, organizza, struttura, forma, ordina in cosmo, in universo regolato: summa del pensiero filosofico, della poetica e della concezione estetica dell’artista malenco. Sempre al Sasso Gianaccio, nel 1930 Dioli porta a termine la costruzione del pollaio, detto Gallinarium, un piccolo edificio con un maestoso portale ad arco a tutto sesto e che pare la trasfigurazione di un mausoleo. Sotto la torre, nella roccia, l’architetto costruisce una grotta all’interno della quale, dei ripiani sorreggevano vasi con fiori penduli ed altri oggetti. La grotta era per il maestro un luogo privilegiato di riflessione, sull’ingresso della quale aveva scolpito la scritta: “Dio è il tutto, divinità e materia, spirito ignoto, quale causa figura meravigliosa nell’effetto, eterno nel tempo, infinito nella misura, perfetto nella forma, sublime nella figura, supremo nella volontà, sommo nel bene e arcano nella potenza”. Infine, il castello era abbellito da un giardino-orto botanico che Dioli coltivò a lungo per soddisfare le proprie necessità di sopravvivenza e, come artista, per creare un vero e proprio universo di forme da contemplare e a cui ispirarsi.

Graffito allegorico.

Quello del “Castèl” era spazio in cui Dioli poteva esprimere una creatività legata alla produzione, ai ritmi e alle forme della terra, un luogo che accoglieva non solo un fitto numero di piante e fiori, ma una vera e propria opera architettonica basata su un sistema di irrigazione che allora garantiva una fioritura costante da febbraio a dicembre, rispecchiando l’aspetto naturale e apparentemente disorganico di un bosco alpino (come i giardini di alcune ville progettate dal maestro). Il terreno correva lungo un pendio e Dioli aveva creato un percorso, un sentierino da cui si potevano ammirare, come in un vero e proprio orto botanico, le varie specie di piante, la grotta principale ed una più piccola, le fontane in legno, il laghetto artificiale, il Gallinarium e naturalmente l’incantevole vista sulla Valmalenco. Il giardino è una sorta di Eden, di spazio sacro in cui Dioli si rifugia negli ultimi anni della sua vita per ritrovare il respiro e la pura bellezza della natura.