Quando l’Italia entrò in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico nel 1915, a fianco delle alleate Francia, Russia e Gran Bretagna, la posizione della neutrale Svizzera divenne ben presto cruciale.
Trovandosi quest’ultima nel mezzo di due schieramenti, si concretizzava sempre più il pericolo di una violazione del territorio elvetico da parte della Germania la quale, solo un anno prima, non aveva esitato a violare
la neutralità belga per invadere la Francia. Il timore di un’imminente offensiva austro-germanica da Nord portò il Comando Supremo italiano a costituire, nel 1916, la 5a Armata con il compito di presidiare il confine
italo-svizzero dal Monte Bianco al Pizzo Scalino. Alla 5a Armata appartenevano le truppe di copertura della Occupazione Avanzata Frontiera Nord (OAFN), la cui funzione, in caso di avanzata tedesca, sarebbe stata
quella di effettuare interruzioni, scontri veloci e tutto ciò che potesse rallentarla.
Foto d'epoca che documenta la sepoltura delle salme al Cimitero degli Alpini
Nel settore Mera-Adda (Valchiavenna – Valtellina) furono distaccati numerosi reparti, tra i quali spiccano i 7 drappelli di Alpini sciatori dislocati nelle varie vallate, di cui 2 in Valmalenco, dove si teneva un Corso sciatori
al rifugio Marinelli. In quei mesi di guerra, furono circa 300 gli Alpini avvicendatisi sulla vasta area delle vette di Lanzada: poco meno di 200 alla Marinelli, 28 a Musella e 80 a valle, presso la frazione di Tornadri.
La loro presenza fu utile per effettuare ricerche di tutto ciò che fosse interessante sul piano militare presso queste valli: ricognizioni sui numerosi valichi, identificazione delle linee di comunicazione e dei luoghi dove alloggiare.
In quei mesi che precedettero il tragico evento del 1917, gli Alpini del Corso sciatori distaccati in Valmalenco, al comando del Capitano Davide Valsecchi, alpinista ed esperto sciatore a sua volta, ebbero modo di
effettuare inoltre numerose opere e lavori: anzitutto la nuova mulattiera che da Tornadri conduceva alla Marinelli, per velocizzare e migliorare i trasporti, una nuova cucina all’Alpe Musella, l’adattamento e l’abbellimento
del rifugio Marinelli, che fu internamente rivestito con pareti in legno e dotato di una sala da pranzo; la costruzione di un magazzino e di un serbatoio d’acqua completarono le migliorie.
Plotone di Alpini skiatori sul ghiacciaio del Pizzo Scalino
Trascorso l’inverno 1916, la primavera del ‘17 si rivelò particolarmente insidiosa per le abbondanti precipitazioni di neve che interessarono il mese di marzo. Furono infatti proprio quelle critiche condizioni meteorologiche
a causare, il primo di aprile, il distacco di una grossa valanga dal Sasso Moro che travolse il Rifugio Musella dove si trovavano i 28 alpini. Gli stessi sopravvissuti cercarono di aiutare i compagni sepolti sotto la neve
(si racconta che alcuni si salvarono uscendo dall’edificio attraverso la canna fumaria), ma per otto di loro non vi fu più nulla da fare. 14 furono i feriti. Uno degli incolumi, il caporale Parolini, scese a Tornadri per dare
l’allarme e immediatamente si mossero i soccorsi.
Il monumento degli alpini eretto a ricordo del punto di distacco della valanga
Il giorno seguente, migliorate le condizioni del tempo, il Capitano Valsecchi alla Marinelli, ignaro dell’accaduto, inviò a valle un drappello di 42 tra i suoi migliori Alpini sciatori per l’approvvigionamento di viveri e legna.
Uno di loro, capace sciatore, precedette tutti alla Musella e, saputo della disgrazia occorsa ai compagni, fece immediatamente ritorno alla Marinelli per dare l’allarme. Sfortunatamente nel frattempo, i suoi compagni,
nell’attraversare la bocchetta delle Forbici, furono a loro volta investiti da una seconda valanga staccatasi dalle cime di Musella. Morirono altri quindici Alpini, nonostante gli sforzi dei commilitoni giunti sul luogo
della tragedia dalla Marinelli con il Capitano Valsecchi per trarli in salvo. Furono praticati numerosi pozzi, profondi sino a 20 m, ma ogni sforzo fu vano. Il giorno seguente “ancora non si era trovato altro che bastoni
e cappelli ma nessuna traccia dei sepolti”. Gli Alpini deceduti rimasero sotto la neve sino alla fine dell’estate, quando con il disgelo, i compagni poterono raccoglierne i resti ancora intatti.
24 furono in tutto gli Alpini caduti, uno dei feriti morì in seguito.
Gli 8 Alpini deceduti a causa della prima valanga furono inumati presso il cimitero di Lanzada, nel luogo dove in seguito verrà eretto il Monumento ai Caduti. Le spoglie degli Alpini deceduti
a causa della seconda valanga, dapprima inumate nel piccolo cimitero appositamente eretto presso il Vallone dello Scerscen, furono poi traslate nel 1932, in occasione dell’opera di sistemazione del Sacrario Militare di
Sondrio, presso l’ossario del capoluogo valtellinese.
Celebrazione al Monumento degli Alpini
In prossimità della Bocchetta delle Forbici fu costruito un monumento a piramide, in pietra, dove una lapide ricorda i tragici eventi dell’1 e 2 aprile 1917, mentre presso il piccolo cimitero eretto nel Vallone dello Scerscen
ogni anno si celebra il ricordo di questo evento con un pellegrinaggio promosso dall’Associazione Nazionale Alpini di Lanzada. Un’escursione a questo monumento tra le vette, per rendere onore ai 24 soldati caduti
affinché la memoria di questo sacrificio non vada dispersa.
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